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STA' FERMO, MUORI E RESUSCITA
(ZAMRI, OUMRI, VOSKRENI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 28 giugno 1990
 
di Vitali Kanevskij, con Pavel Nazarov, Dinara Drukarova, Elena Popova, Valeri Ivtchenko (Unione Sovietica, 1989)
Grande rivelazione di Cannes 90, questo regista nato nel 1935 firma soltanto ora il suo primo lungometraggio. Ispirato ai suoi ricordi d'infanzia, narra l'odissea di un ragazzino dodicenne che, nel 1947, vive in una contrada sperduta dell'estremo oriente dell'Unione Sovietica, trasformata in luogo di detenzione per prigionieri di guerra giapponesi e malfattori di diritto comune. Il suo modo di scivolare, quasi senza accorgesene, da un'infanzia privata dagli affetti tradizionali, alla piccola delinquenza, ad una tragica, struggente conclusione.

Riferendosi all'estetica del film, fatta di una fotografia cruda e contrastata, di un'intimità al tempo stesso commovente e lucida con il suo giovane protagonista, qualcuno ha parlato di neorealismo e di Rossellini. Ma la differenza fra questo film e GERMANIA ANNO ZERO è che Rossellini parlava di avvenimenti contemporanei. Mentre nel film di Kanevskij si sente costantemente il quasi mezzo secolo che ci separa dai fatti: e che conferisce alla sua testimonianza, al suo sguardo cinematografico il peso, la meditazione, la sofferenza di un testamento. esistenziale e politico.

Il film ha la freschezza, la fugacità, l'urgenza di un'opera prima. Ma è l'opera prima di qualcuno che ha più di cinquant'anni, di un ragazzino che vive la propria autobiografia con il senno di poi. Così il tempo, quell'elemento che confina le cose nella memoria, confinandole nel Mito, privandole dell'urgenza del presente, è come annullato. E Sta' fermo, muori e resuscita tratta della ricerca di un'impossibile felicità: di "allora", come di oggi...

La memoria e la lucidità: nella giovane coppia composta da Galia e Valerka ritroviamo lo specchio delle contraddizioni e delle violenze che la storia composta dagli adulti riserva all'innocenza dell'infanzia.

Allegoria politica ed aneddoto autobiografico, Sta' fermo, muori e resuscita s'iscrive al tempo stesso nella storia e nella poesia: come in quella sua conclusione memorabile, con i due ragazzini che rientrano a casa percorrendo la strada ferrata. E, mentre la cinepresa si attarda sul paesaggio circostante, passano dalla vita alla morte. Grazie ad uno di quegli istanti inventati dal cinema (qui, di straordinario coraggio espressivo) che, proprio perché mai descritti, s'imprimono nella memoria per sempre. E che sia chiamano ellissi.>


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